Una analisi ortodossa del Concilio di Trento ( parte II )

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SULLA SESSIONE XIII 

La sessione XIII del 11 ottobre 1551 è di particolare importanza, dal momento che tratta l'Eucarestia. Dopo una spiegazione scritturale lecita e non eterodossa dell'Eucarestia, il capitolo 5 della sessione XIII inserisce "l'adorazione dell'Eucarestia". Ecco un altro importante aspetto innovativo e poco tradizionale di Trento. 

Il punto 5 infatti dichiara che si deve all'Eucarestia il culto di latrìa, cioè di adorazione, in quanto il vero Dio, nostro Signore Gesù Cristo, è presente sull'altare nel completo essere. La sessione fa riferimento già alla prassi, oramai in quel tempo già consolidata in Occidente, della processione del Corpus Domini istituita nel 1264 da Urbano IV, da festeggiarsi sessanta giorni dopo la Pasqua. La festa del Corpo di Cristo soppresse e assorbì l'antica festa del Sangue di Cristo (1 luglio), già celebrata nel Primo Millennio. E' doverosa una premessa storica. L'uso di portare il Santissimo in processione ha origine nella Francia del IX secolo: le torri eucaristiche (quindi il Corpo era invisibile) venivano utilizzate durante le processioni dei Doni alle Messe in Francia, e presto furono utilizzate fino al XIII secolo per la venerazione pubblica durante le grandi feste. L'abate Fernand Cabrol descrive molto bene questa usanza nel suo libro the Mass of the western rites.  A codificare l'uso della processione ci pensò il papa Urbano IV con l'ausilio di Tommaso d'Aquino. L'avvento delle ostie in luogo del pane lievitato rese più semplice l'ostensione, con l'uso degli ostensori "visibili". Sebbene non strettamente eretica,  il buonsenso ci dice che questa pratica non è salutare, in quanto sovverte l'ordine naturale del sacramento: il Corpo e il Sangue di Cristo vennero dati per essere consumati. Ben diversa è la conservazione per gli Infermi, che tuttavia ha regole ben precise codificate da molti concili, come ad esempio ci ricorda Regino abate di Prum in Germania (X secolo), il quale scrisse il libro De synodalibus causis et disciplinis ecclesiastis nel quale, nel cap. 71, espone il modo in cui ha da conservarsi l'Eucarestia per i malati: e vi è scritto di "intingere la particola nel sangue, così che a buon diritto l'infermo ottenga il Corpo e il Sangue del Signore" (1). E' evidente che allora, perfino l'adorazione del Santissimo così come concepita di sola ostia, è carente del Sangue, e quindi è perfino incompleta. Per ovviare a questa affermazione, i tridentini non usano alcuna affermazione tradizionale di concili o Padri precedenti (perché non c'è) m arbitrariamente si appellano allo stesso canone di Trento sull'Eucarestia - difendere un canone con un secondo canone del medesimo concilio è alquanto strano, è come se io mi dessi ragione da solo - in particolare al canone 3 della Sessione XIII: "chi dirà che nell'Eucarestia, effettuata la separazione (delle specie) che il Cristo non è contenuto in ognuna delle due specie o in una delle parti di ciascuna specie,  sia anatema." Essi avevano evidentemente calcolato una possibile obiezione di questo genere, e non lasciano scampo alla dialettica. Il canone 6 della sessione XIII rimarca: "chi non crede che il sacramento dell'Eucarestia non debba essere adorato con latrìa anche esteriore e che dunque non debba essere adorato in particolari festività, o non debba esser condotto in processioni solenni, o che non debba venir esposto per l'adorazione pubblica, sia anatema." Questo canone andrà contro le stesse disposizioni degli Uniati ucraini, i quali non seguivano certamente l'usanza gallicana della processione del Santissimo, ma si attenevano al rito bizantino in tutto. 


Un dipinto che ritrae il Concilio di Trento, custodito al museo diocesano di Trento

SULLA SESSIONE XIV

Nel 25 novembre 1551, la Sessione XIV si occupò della Confessione e degli Infermi.. Nonostante su entrambi gli argomenti il Concilio sia piuttosto scritturale, anche qui limitandosi a elencare un po' di cose assodate e genericamente "comuni" anche all'Ortodossia, il Concilio riesce a crollare perfino sulla Confessione. Dice infatti la sessione XIV al canone 9 sulla Confessione: "chi non crede che la confessione si un atto giudiziario, ma un semplice ministero di pronunciare e dichiarare al penitente che i peccati gli sono assolti (...) sia anatema." Questo esagerato positivismo meccanico e giuridico ovviamente non trova posto nella patristica Latina del primo millennio: se si legge ad esempio il sermone XLVIII di san Leone Magno, papa di Roma (+461), ove tratta la Confessione sacramentale, il peso del pontefice fu sull'atto di contrizione più che sull'azione del confessore. Lo stesso papa Leone dice che è lo Spirito Santo a muovere la confessione, Nel sermone XLVIII sempre san Leone papa ammette addirittura che "non occorre dubitare dell'ottenimento del perdono di Dio quando recitiamo il Padre Nostro" ovviamente ritenendo fondamentale il pentimento guidato dalla grazia come foriero dell'azione purificatoria della Confessione. Il sacerdote, nel pensiero patristico classico, è un intermediario fra Dio e il penitente ed è colui che, sciogliendo e legando secondo le parole del Cristo, è testimone dell'azione divina. Fino alla stessa Scolastica, come testimonia l'autore cattolico-romano Isacco della Stella (XII secolo), permane lo stesso pensiero: nel sermone XI, lo scolastico scrive " solamente quell'Uomo (il Cristo) può rimettere i peccati" e un po' prima, commenta "il corpo, infatti, che è la sposa, la Chiesa, non può rimettere nulla senza la sua testa, che è il Cristo". Bernardo di Chiaravalle nel sermone XXI scrive: "Il cammino dell'Uomo non appartiene all'uomo, ma allo Spirito Santo". Il corso dunque moderno e giurisprudenzialista del Concilio colpì anche il sacramento della Confessione. 
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NOTE

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