La riservatezza della Confessione secondo Leone Magno

Nel 459 d.C. san Leone Magno (+461) intervenne con una lettera rivolta ai vescovi della Campania in merito alla loro mala pratica di professare una sorta di "confessione pubblica", ricordando come la segretezza della Confessione faccia parte dell'amministrazione del Sacramento

Dispongo che venga rimossa in tutti i modi quella temerarietà che è anche contro la regola apostolica, di cui recentemente ho appreso, che viene commessa da alcuni con uso illecito. Circa la confessione cioè che viene richiesta dai fedeli; che non si proclamino in pubblico dichiarazioni scritte su taccuino circa il genere dei singoli peccati, essendo sufficiente che la colpa delle coscienze venga manifestata ai soli sacerdoti con confessione segreta. Sebbene infatti sembri essere lodevole una pienezza di fede, che per timore di Dio non abbia soggezione di arrossire presso gli uomini, tuttavia, giacché i peccati di tutti non sono di tale specie che coloro che chiedono la confessione non sempre [non] temano di renderli pubblici, sia rimossa una consuetudine tanto inaccettabile, acciocché molti non vengano allontanati dal beneficio della confessione, perché o si vergognano o hanno timore che vengano svelati ai loro nemici fatti in base ai quali potrebbero essere colpiti dalle disposizioni di legge. E‘ sufficiente, infatti, quella confessione che viene offerta prima a Dio, poi anche al sacerdote, che si aggiunge come intercessore per le mancanze dei penitenti. Infatti parecchi potranno essere invogliati alla confessione unicamente se la coscienza dei penitenti non verrà resa pubblica alle orecchie del popolo.




LEONE MAGNO, dalla Lettera «Magna indignatione» a tutti i vescovi della Campania del 6 marzo 459, in Dh 323.

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