L'evoluzione del concetto di (Fuoco) Purgatorio (parte II) - Storia della Chiesa

Nel V e VI secolo, i due Padri Latini più colti e fecondi del tempo si cimentano con il tema della vita dopo la morte, dando così quella che è, tuttora, la semplice visione ortodossa comune all'oriente e all'antico occidente di fuoco purgatorio, di valore suffragistico della Divina Liturgia e l'importanza delle preghiere dei vivi.

Sant'Agostino d'Ippona e il (Fuoco) Purgatorio

Sant'Agostino d'Ippona è considerato, invece, il vero padre del concetto di Purgatorio come lo conosciamo oggi, a mio avviso impropriamente. Difatti, Agostino non voleva toccare che marginalmente il problema dei destini delle anime dopo la morte, sebbene il tema interessasse molto i contemporanei del presule d'Ippona: sarà soprattutto dopo il 413 d.C., anno in cui sant'Agostino si imporrà dottrinalmente contro i "misericordiosi", che affronterà il soggetto. Questa dottrina della Misericordia infatti, di stampo origeniano, era di fatto una paracatastasi totale e il vescovo Agostino non poteva non andargli contro in quanto eretica. Al beato presule africano si può solamente imputare la creazione di una terminologia teologica che avrà molta fortuna in Occidente; anche se, ad esempio, e pare un paradosso, san Marco d'Efeso durante il Concilio di Ferrara-Firenze del XV secolo, nel controbattere la dottrina cattolico-romana del Purgatorio, farà riferimento proprio ad Agostino per confutarla. Per Agostino, infatti, vi sono diversi fenomeni dopo la morte, accompagnati da tre aggettivi: purgatorius (purgatorio, purificante), temporalis (temporaneo) e transitorius (transitorio). Il primo si trova associato molto spesso ai tormenti: poene purgatoriae ( Città di Dio, XXI, XIII, XVI) o tormenta purgatoria (ibid. XXI, XXVI), e anche ignis purgatorius (fuoco purificatore, in Enchiridion, 69); l'aggettivo temporarius si incontra nell'espressione poene temporariae, in opposizione alle pene eterne (Città di Dio, XXI, XIII). Ma ancor prima di queste sottigliezze teologiche, Agostino ha ufficialmente decretato l'efficacia delle preghiere per i morti, le quali avranno uno sviluppo sostanziale proprio dalla pubblicazione delle sue opere. Nel 397, alla morte della madre, santa Monica, il santo nelle Confessioni (Confessioni, IX 13:34-37) scrive una emozionante preghiera di suffragio per la madre defunta. La decisione di accettare sua madre nella Geenna o nel Paradiso spetta unicamente a Dio, ma Agostino spera che il bene da lei compiuto in vita e le preghiere di lui possano in qualche modo influire sulla decisione divina. Alcuni anni dopo, nel Commento al salmo 37, Agostino spera e chiede a Dio di emendarlo in questa vita per non dover passare nell'ignis emendatorius nell'aldilà: affiora in lui l'idea che già questa terra sia un "Purgatorio" nel senso che le tribolazioni e i dolori che si provano nella vita terrena possono valere da espiazione per i peccati commessi. Nel 426-27, scrivendo la Città di Dio, Agostino torna a parlare delle preghiere di suffragio per i defunti, ma per un solo genere di morti: coloro che non hanno avuto né una vita totalmente pia, né totalmente malvagia. Nel Commento alla Genesi contro i manichei del 398 Agostino aveva invece diviso il fuoco purgatorio dalla dannazione. Fra il 400 e il 414, nei suoi Commenti ai Salmi, Agostino tratta la questione del fuoco purgatorio chiamandolo una questio obscura, ma nel commento al salmo 37 scrive: "anche se alcuni saranno salvati da questo fuoco, il patimento proveniente dal fuoco sarà più terribile di qualsiasi dolore di questa vita." e tale frase avrà un grande impatto sugli uomini del Medioevo. Dal 413 Agostino perfeziona il suo modo di vedere le cose, e contro i Misericordiosi si scaglia senza pietà, enumerando così quattro categorie d'uomini e di destini: i pii, che si salvano immediatamente; gli empi, che vanno all'Inferno, i non del tutto empi, che "vivranno un inferno più tollerabile" e che quindi possono sperare di esser salvati dai Santi; e i non del tutto buoni, che passano per il fuoco purgatorio prima di andare in Paradiso. Nel 417 Agostino scrive la Lettera a Dardano nella quale prova a descrivere l'aldilà, e non c'è spazio per alcun luogo purgatorio. Nel trattato Sulla Natura e l'origine dell'Anima del 419, il vescovo di Ippona scrive che i bambini non battezzati non ottengono la salvezza, ma vanno all'inferno: nega di fatto quello che è il "Limbo degli Infanti" della teologia romano-cattolica. Se è vero che la teologia agostiniana ha influenzato notevolissimamente il pensiero occidentale, si comprende facilmente perché i sacerdoti e gli uomini di buona fede medievali ci tenessero a battezzare i bambini quanto prima, perfino appena nati, per il terrore di mandarli all'inferno. Nei capitoli 66 e 67 dell'Enchiridion, Agostino lascia intendere che per salvarsi dal Fuoco occorre unire la Fede alle Opere, vivendo la vita cristiana nella sua totalità, mentre nel Libro XXI della Città di Dio, scritto nel 427, spiega l'inferno e le sue pene, che egli considera eterne. Nel capitolo tredicesimo del medesimo libro, spiega la differenza fra le pene purgatorie e le pene eterne e i meccanismi per i quali esse sussistono.

San Gregorio Magno

Nella litografia del XIX secolo, san Gregorio Magno che intercede per le anime sofferenti.

Un'altra figura patristica che ha parlato del "purgatorio" nella sua ortodossia è san Gregorio Magno, patriarca di Roma antica. Gregorio diventò pontefice nel 590 d.C., dopo aver avuto una brillante carriera come arcidiacono a Roma e apocrisario papale a Costantinopoli, e subito si mise a scrivere dei documenti dottrinali per il popolo sofferente la grande carestia e la peste di quegli anni. Nel Commento a Giobbe, al capitolo XII, il pontefice scrive che prima dell'Incarnazione di Cristo era normale che tutti gli uomini andassero all'inferno, giacché le porte del Paradiso (il << seno di Abramo >> ) erano chiuse. In un altro libro, il Quarto nei celebri Dialoghi, Gregorio spiega le tre verità fondamentali dell'Ortodossia circa il destino delle anime dopo la morte: la necessità di suffragi per le anime, il sacrificio eucaristico come mezzo per la salvezza dei defunti, e l'eternità dell'anima. Attraverso tre esempi di apparizioni che gli sono accadute, egli spiega infatti come le pene purificatrici sono subite dalle anime che hanno commesso i peccati sulla terra, I fantasmi, come sono sovente chiamati dallo stesso Gregorio, attendono nei luoghi in cui sono morti che qualche buon'anima dia loro suffragio. Celebre il caso del monaco avaro di nome Giusto, prossimo alla morte, il quale avendo nascoste tre monete d'oro senza denunciarle al monastero, Gregorio aveva ordinato che alla sua dipartita fosse messo in terra sconsacrata e che nessun chierico si avvicinasse al moribondo; dopo un mese Gregorio, angustiato per il destino del monaco, ordinò che venissero condotte per trenta giorni delle Messe e dei riti di suffragio ( i Placebi ) a beneficio dell'anima di Giusto; il morto apparve a Gregorio allo scadere delle trenta commemorazioni, confortando il presule circa il suo stato, adesso liberato dall'azione salvifica dei riti. Nei Dialoghi, san Gregorio scrive:

<< PIETRO: qual è il mezzo per aiutare le anime dei morti?
GREGORIO: Se le colpe non sono incancellabili dopo la morte, la sacra offerta eucaristica salvifica è di grande aiuto per le anime, anche dopo la morte, tant'è che molti defunti dall'aldilà la reclamano.[1]>>
Il Sacramentario Gregoriano, da lui compilato, fece grande attenzione alle collette per i defunti e allo specifico Memento. Fondamentalmente agostiniano, Gregorio divide, al tempo del Giudizio universale, due categorie d'anime: quelle degli eletti e quelle dei reprobi, le prime destinate alla gioia eterna, le seconde alla sofferenza imperitura.




[1] Gregorio Magno, Dialoghi, libro IV, 57:1 

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