Il "Deserto" spirituale: riflessioni di un clerical chic

Il Deserto egiziano-palestinese vede la nascita del Monachesimo eremitico e cenobitico, e anche della Spiritualità del Deserto che ci ha tramandato i detti di abba Antonio il Grande, di san Pacomio, di sant'Isacco di Ninive e molti altri. 
San Basilio Magno ( IV secolo ) scrive la sua Regola per i monaci, che verrà a creare quello che in Grecia chiamano monastero semi-cenobitico, del quale ora mi sfugge il nome proprio greco, nel quale attorno ad una cappella comune si riuniscono monaci che vivono in piccoli skit separati gli uni dagli altri: li unisce solo l'officio divino, poi vivono appartati.
San Benedetto da Norcia ( V secolo ) ispirato da san Basilio Magno, compone la sua propria Regola, formando però un sunto fra l'esperienza di Pacomio e quella di Basilio, creando il monachesimo occidentale cenobitico nella sua forma comunitaria, poiché stili di vita "basiliani" pre-esistevano nel mondo celtico e in quello gallicano. Fra il monachesimo egiziano e quello latino tuttavia sorge una grande differenza di prassi: il primo è contemplativo e "d'abbandono", il secondo è contemplativo e "d'opera".  San Benedetto disse chiaramente ora et labora, prega e lavora, mentre negli scritti di sant'Isacco di Ninive si legge: abbandona completamente il mondo - ciò significa non interessarsi minimamente al materiale. Questa differenza di pensiero spirituale presto si fonderà, e anche i monaci palestinesi otterranno le loro obbedienze, ossia l'opus Dei  ( i lavori di Dio) di san Benedetto, il lavoro nel monastero e per il monastero... anche se la differenza di pensiero permarrà sempre. 
Nel monachesimo detto "egiziano" o "del Deserto" i monaci cercano la solitudine perché attraverso di essa si arriva alla compenetrazione in Dio. I monaci latini, o benedettini, non hanno tale pretesa, ma solo di fuggire dal mondo insieme, in gruppo, per non perdersi d'animo. Certo, il crollo di Roma mondana doveva aver avuto un peso spirituale notevole sul cittadino latino di allora, che non mirava a chissà cosa, se non a sopravvivere anche spiritualmente dopo la devastazione umana che era seguita alle orde dei Vandali. Col tempo, il monachesimo a mio avviso prende un'unica direzione e l'eremitismo massivo in sé cessa di esistere, per dare avvio alla forma monasteriale non nel mondo ma per il mondo, come la vediamo oggi: tale centro a Costantinopoli sarà lo Studion, a Roma sarà il monastero del Celio. 


Un monaco nel Deserto del Sinai ( Egitto ) nella sua piccola grotta scavata negli speroni rocciosi che popolano le dune.









Il terribile "deserto russo", le grandiose foreste profonde lunghe migliaia di chilometri e completamente disabitate. 
Quando i Russi si cristianizzarono nel X-XI secolo, la prima forma di monachesimo che assunsero attraverso l'opera di san Teodosio delle Grotte fu quella cenobitica. Il monachesimo russo visse i suoi primi secoli di vita nel solco della tradizione Studita-costantinopoolitana, e i monasteri furono fin dall'inizio della loro storia centri di cultura, formazione clericale, sviluppo dell'Arte in ogni sua branca, e anche di competenza medica. 

Il rivoluzionario del monachesimo russo può ben dirsi san Sergio di Radonez. Influenzato da Pacomio e dai Padri Cappadoci, san Sergio volle trasporre il Deserto nelle fredde lande russe, iniziando un pensiero nuovo: il deserto non è più un luogo fisico, ma è spirituale. Tutti i posti della terra possono essere un "deserto" se fai vuoto attorno a te. Se bruci il mondo attorno al tuo ego, se crocefiggi le tue passioni nel segno della Croce, se crei uno skit per il tuo cuore dove chiuderlo per meditare, allora ottieni il tuo Deserto. Raccolti attorno a sé pochi discepoli, san Sergio andò al nord nei profondi boschi della Moscovia d'allora- ritenuti da lui il "deserto russo" - e fondò il Lavra della Trinità pensandolo come un luogo eremitico. Già in vita, il numero dei suoi monaci crebbe a dismisura e il suo sogno di vita solitaria morì ben prima di lui: così trasformò il suo enorme monastero in un centro di propaganda della Fede e di cultura, secondo un famoso detto italiano che è di necessità si fa virtù. Qualche secolo più tardi, nel Cinquecento, Sant'Antonio di Sija riprenderà il tema del Bosco-Deserto per fondare assieme ai suoi fratelli il monastero che ora porta il suo nome, la cui cappella però è intitolata alla Venerabile Croce. Il monastero è attivo in traduzioni per la lingua italiana ( qui ). 

Quindi carissimi, cos'è il Deserto patristico? può essere anche camera nostra, non occorre andare chissà dove. 

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