Il Predicatore ritorni a sé stesso ( san Gregorio Magno)

Oggi (25 marzo) ricorre nella Chiesa Ortodossa la memoria del grande San Gregorio I Papa di Roma e Patriarca d'Occidente. Come tributo, riporto l'ultimo capitolo del suo volume "Regola Pastorale", un incitamento ai chierici a non perdere di vista la propria interiorità, poiché per le circostanze del loro ministero spesso perdono di vista sé stessi. 
San Gregorio Magno, prega per noi e per l'Europa.
Testo da "Regola Pastorale, parte IV" 
La Regola fu inviata da Papa Gregorio al Vescovo Giovanni di Ravenna, cui egli si rivolge nello scritto.

COME IL PREDICATORE, COMPIUTA OGNI COSA NEL MODO DOVUTO,
DEVE RITORNARE A SE STESSO, 
PERCHE' LA VITA O LA PREDICAZIONE
NON LO ESALTINO

Ma poiché spesso, quando la predicazione scorre copiosamente nei modi convenienti, l’animo di chi parla si esalta in se stesso per la gioia nascosta di questa dimostrazione di sé, è necessaria una grande cura perché esso si lasci ferire dai morsi del timore e non accada che colui il quale, curando le loro ferite, richiama gli altri alla salvezza, si inorgoglisca lui per negligenza della salvezza sua propria; e mentre giova al prossimo, abbandoni se stesso e cada, mentre fa rialzare gli altri. Spesso, infatti, la grandezza della virtù fu occasione di perdizione per alcuni, perché per la confidenza nelle proprie forze acquistano una disordinata sicurezza, così che poi, per negligenza, in modo imprevisto muoiono. Infatti, quando la virtù resiste ai vizi, per un certo piacere di essa, l’animo ne resta lusingato, e avviene che la mente di chi opera bene rigetti il timore che la fa essere attenta ai vizi; riposi sicura nella confidenza di sé; e quando essa è presa nel torpore, l’astuto seduttore le enumera tutte le sue buone opere e la esalta nel pensiero orgoglioso di essere superiore agli altri. Quindi, agli occhi del giusto Giudice, il ricordo della virtù diviene una fossa per la mente, perché ricordando ciò che ha compiuto, mentre si innalza in se stessa, cade di fronte all’autore dell’umiltà. Perciò è detto all’anima che insuperbisce: Quanto pia sei bella, scendi e dormi con gli incirconcisi (Ez. 32, 9); come se dicesse apertamente: Poiché ti elevi per la bellezza della virtù, dalla tua stessa bellezza sei spinta a cadere. Perciò, l’anima che insuperbisce per la virtù, viene riprovata — personificata in Gerusalemme — quando è detto: Eri perfetta nella mia bellezza, che io avevo posto su di te, dice il Signore; ma fidando nella tua bellezza, hai fornicato nel tuo nome (Ez. 16, 14-15). Giacché l’animo si esalta, per la fiducia nella propria bellezza, quando lieto per i meriti delle sue virtù, si gloria ai suoi occhi nella propria sicurezza. Ma attraverso questa medesima fiducia è condotto alla fornicazione, perché quando i suoi stessi pensieri illudono la mente prigioniera, gli spiriti maligni la corrompono, seducendola attraverso innumerevoli vizi. Si noti che è detto: Hai fornicato nel tuo nome, perché quando il cuore abbandona il rispetto della guida celeste, cerca subito una lode personale, e incomincia ad attribuirsi ogni bene che ha ricevuto per servire all’annuncio di colui che gliel’ha donato; desidera dilatare la gloria della sua fama; fa di tutto per apparire degna di ammirazione a tutti. Pertanto fornica in suo nome, colei che abbandonando il talamo legale giace sotto lo spirito corruttore per la brama della lode. Perciò David dice: Ha consegnato alla prigionia la loro virtù e la loro bellezza in mano al nemico (Sal. 77, 61). Giacché la virtù è consegnata alla prigionia e la bellezza in mano all’avversario, quando l’antico nemico domina un cuore illuso dall’esaltazione per una buona opera; e tuttavia questa esaltazione della virtù, sebbene non vinca completamente, tenta spesso, comunque, anche l’animo degli eletti; ma quando, dopo essersi esaltato, viene abbandonato, allora è richiamato al timore. Perciò David ancora dice: lo dissi nel mio benessere: Non sarò scosso in eterno (Sal. 29, 7). Ma poiché si gonfiò nella confidenza nella propria virtù, poco dopo aggiunge che cosa dovette sopportare: Hai distolto il tuo volto e sono stato turbato (Sal. 29, 8); come se dicesse apertamente: Mi sono creduto forte tra le mie virtù, ma abbandonato, ho riconosciuto quanto è grande la mia debolezza. Perciò ancora dice: Ho giurato e stabilito di custodire i giudizi della tua giustizia (Sal. 118, 106). Ma poiché non era in potere della sua forza rimanere fermo nella custodia che aveva giurato, subito scopri la propria debolezza, per cui immediatamente si buttò nella preghiera dicendo: Sono stato umiliato fino in fondo, Signore, dammi vita secondo la tua parola (Sal. 118, 107). Poiché spesso la guida celeste prima di fare progredire coi doni richiama alla mente il ricordo della debolezza, perché non ci si gonfi per le virtù ricevute. Perciò il profeta Ezechiele, ogni volta che è condotto a contemplare le cose celesti, viene chiamato prima figlio dell’uomo, come se il Signore lo ammonisse apertamente dicendo: perché tu non innalzi il tuo cuore nell’esaltazione, considera attentamente ciò che sei, affinché quando penetri le verità somme riconosca di essere uomo; e mentre sei rapito al di là di te, tu sia richiamato sollecitamente a te stesso dal freno della tua debolezza. Perciò è necessario che quando l’abbondanza delle virtù ci lusinga, l’occhio della mente ritorni alle sue debolezze e si costringa a voltarsi indietro per guardare non ciò che ha fatto rettamente, ma ciò che ha trascurato di fare, perché, mentre nel ricordo della debolezza, il cuore si abbatte, sia rafforzato nella virtù presso l’autore dell’umiltà. Poiché spesso Dio onnipotente, quantunque in gran parte renda perfette le menti delle guide delle anime, tuttavia, per una piccola parte, le lascia imperfette, affinché, quando risplendono per le loro ammirabili virtù, si struggano per il fastidio della propria imperfezione e non si innalzino per quanto è in loro di grande, mentre ancora si travagliano nel loro sforzo contro difetti minimi; ma poiché non sono capaci di vincere questi ultimi resti di imperfezione, non osino insuperbire per i loro atti eminenti. Ecco, nobilissimo uomo, spinto dalla necessità di accusare me stesso e tutto attento a mostrare quale debba essere il Pastore, ho dipinto un uomo bello, io cattivo pittore, che, ancora sbattuto dai flutti dei peccati, pretendo di guidare gli altri al lido della perfezione. Ma in questo naufragio della vita, ti supplico, sostienimi con la tavola della tua preghiera e, poiché il mio peso mi fa affondare, sollevami con la mano dei tuoi meriti.

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